Viviamo in un’epoca segnata da profonde disuguaglianze, dove l’indifferenza sembra essere la moneta di scambio dominante. La nostra società è sempre più robotizzata, frutto di un sistema che privilegia l’automatizzazione e la produzione a scapito delle relazioni umane e della solidarietà. Gli individui sono diventati ingranaggi di una macchina economica e sociale progettata per arricchire pochi, mentre la maggioranza si ritrova ai margini, emarginata e spesso disorientata. Questo stato di cose non è casuale, ma il risultato di dinamiche che hanno radici profonde nel capitalismo contemporaneo, amplificate dall’era digitale e dal potere dei media e dei social network.
L’indifferenza: il nuovo normal
L’indifferenza che pervade la nostra società non è solo una scelta individuale, ma un sintomo di un sistema che ha spinto l’essere umano verso una crescente alienazione. Siamo costantemente bombardati da informazioni, immagini, video, opinioni – il più delle volte superficiali o manipolate – che ci distolgono dai problemi reali. In questo flusso ininterrotto di contenuti, la sofferenza e le difficoltà degli altri diventano immagini sfocate, lontane e irreali. I social media, lungi dall’avvicinare le persone, hanno creato una sorta di bolla digitale in cui l’apparenza e il consumismo emotivo prevalgono. Si è più concentrati a mostrare una vita perfetta, a creare una maschera, che a costruire autentiche relazioni basate sull’empatia e il sostegno reciproco.
Una società per ricchi
In questo scenario si afferma sempre più una divisione tra chi possiede enormi risorse e chi, invece, lotta quotidianamente per sopravvivere. Le élite economiche hanno progressivamente conquistato il controllo su larga parte delle risorse globali, creando una società disegnata a loro misura. Le città stesse sembrano plasmate per rispondere ai bisogni di chi può permettersi il lusso: quartieri eleganti, servizi esclusivi, scuole e sanità di alto livello. Dall’altra parte, le periferie, le zone grigie, quelle in cui la maggior parte delle persone fatica a vivere dignitosamente, isolate sia fisicamente che simbolicamente. Questa polarizzazione crea un abisso tra le classi sociali, lasciando le masse in una condizione di perenne insoddisfazione e precarietà.
Robotizzazione e sfruttamento del tempo
Il lavoro, che un tempo rappresentava una dimensione di realizzazione personale e sociale, è diventato per molti un meccanismo di puro sfruttamento. La robotizzazione, con la crescente automazione, sta eliminando posti di lavoro e generando nuove forme di precarietà. La promessa di un futuro in cui le macchine avrebbero sollevato gli esseri umani dai lavori più gravosi si è trasformata in un incubo: la tecnologia è utilizzata principalmente per ridurre i costi e aumentare i profitti, non per migliorare le condizioni di vita della popolazione.
Oggi, per la maggior parte delle persone, il lavoro significa correre senza sosta, accumulare ore su ore solo per arrivare a fine mese, in un ciclo infinito di stress, ansia e fatica. Il tempo, la risorsa più preziosa, viene consumato in attività che svuotano, lasciando poco spazio per l’autocura, la riflessione e il benessere.
Drogati dai social e dall’informazione
Un altro elemento di questa società “robotizzata” è l’assuefazione ai social media e alle notizie. Questi strumenti, pur avendo un potenziale positivo, sono spesso manipolati per distrarre le masse dai problemi reali. Il tempo speso sui social è diventato una droga che anestetizza le persone, impedendo loro di pensare criticamente e di agire in modo collettivo. Le fake news, il sensazionalismo, l’iperstimolazione emotiva creano un terreno fertile per l’indifferenza e l’isolamento. Sembra quasi che a nessuno importi ciò che gli succede intorno, c’è menefreghismo. E così nessuno si accorge, per esempio, che una figlia, una vicina, una fidanzata, un’amica, porta avanti una gravidanza fino al punto di partorire e seppellire nel giardino di casa il neonato.
Gli immigrati: ai margini della società malata
In questo contesto di malessere e ingiustizia sociale, gli immigrati rappresentano un ulteriore capro espiatorio. Essi vivono ai margini di una società già malata, spesso in condizioni peggiori rispetto ai cittadini nativi. Sono vittime di discriminazioni, sfruttati nel lavoro, privati di diritti fondamentali. In un certo senso, la loro presenza diventa una sorta di consolazione per chi si trova appena sopra nella scala sociale: la visione di chi sta peggio fa sembrare meno dolorosa la propria condizione, rafforzando l’illusione di avere ancora qualcosa da perdere.
Gli immigrati, tuttavia, sono il riflesso più evidente di come il sistema economico e sociale attuale fallisca nel creare una società equa e inclusiva. La loro esclusione, il loro isolamento, non è solo un problema etico, ma un segnale di come il sistema stesso sia profondamente squilibrato.
Conclusione: quale futuro?
La società in cui viviamo, fatta di indifferenti, robotizzati e marginalizzati, richiede una riflessione profonda. Non possiamo continuare a ignorare il divario crescente tra ricchi e poveri, l’alienazione prodotta dalla tecnologia e dai social media, o l’esclusione di milioni di persone. Se vogliamo sperare in un futuro diverso, è necessario ripensare radicalmente il nostro modello di sviluppo, costruire nuove forme di solidarietà e di partecipazione, e riaffermare il valore dell’essere umano al centro della società. Solo così potremo rompere il circolo vizioso dell’indifferenza e creare una comunità più giusta e inclusiva, capace di guardare al benessere collettivo piuttosto che al profitto di pochi. Il mio parere è che, purtroppo, non c’è luce in fondo alla galleria, le nuove generazioni sono divise, non hanno nulla in comune, e questo porterà ad una società sempre più divisa e in lotta. Le guerre diventeranno sempre più intense e numerose, tanto che qualcuno sta già pensando di mettere casa sulla Luna.